Dieci giorni (21-25 Novembre, 30-04 Dicembre), undici ore di pullman, quattro di aereo, venti minuti di tram, 6 classi (4A 5A 4B 5B 5C 3E) due levate presto alle sei del mattino, un andata e un ritorno. Nel mezzo c’è solo la Polonia con la sua Cracovia, vera capitale storica, città dei re, seconda Roma. Nel mezzo c’è solo il tremendo e non affatto lontano passato di un paese smembrato, di un grande popolo europeo privato della sua identità territoriale e poi travolto dall’assurdità dell’orrore nazista. In mezzo a tutto questo ci siamo stati noi che ve lo vogliamo raccontare.
LA POESIA DELLA CITTÀ La città dalla triste bellezza, Cracovia è l’ antica capitale della Polonia che conserva i tratti di un passato glorioso. Centro culturale e universitario della nazione, sono infatti gli studenti a rendere questa città, dall’aspetto antico, un luogo dallo spirito giovanile. Molti aspetti di Cracovia farebbero pensare a una città piuttosto vecchia, ma ci si rende conto in fretta che non lo è affatto. È sorprendente come si contemperino aspetti di una realtà passata in un’ altra che sta emergendo e ha tutti i presupposti per farlo. Basti pensare al breve tragitto che collega la piazza centrale, nonché cuore dell’ attività commerciale, al quartiere ebreo; oppure alla vicinanza di un albergo dove abbiamo alloggiato, struttura di nuovissima costruzione alla fabbrica di Oskar Schindler, ora divenuta museo. Meta di milioni di turisti all’ anno, Cracovia è una città dalle molte facce. Stupisce il modo in cui ogni suo luogo conservi orgogliosamente la propria peculiarità. Il centro attrazione principale è la Città Vecchia, un vero e proprio borgo medievale, in cui è possibile scoprire il lato artistico - culturale della città. Piazza del Mercato, nonché la più grande piazza medievale d’ Europa, costituisce il cuore dell’ attività commerciale. Attorno ad essa si ergono imponenti edifici in stile gotico, rinascimentale e barocco come la Torre del Municipio o la Basilica di Santa Maria, dall’ alto della quale,allo scoccare di ogni ora, è possibile ascoltare la melodia di una tromba, il cui suono e’da tempo simbolo della città. Altro nucleo medievale è il castello di Wawel che sorge sull’ omonima collina, antica residenza dei re polacchi. Poco distante dal centro storico vi è il quartiere abitato dalla comunità ebraica e soprannominato ghetto durante il periodo nazista. Caffè, bar, negozi, musei, sono gli spazi entro cui si svolge la vita cittadina, di cui i protagonisti sono artisti di strada, musicisti e turisti. Sedersi in un ristorante e consumare una minestra, rifugiarsi dal freddo in un bar e gustare bevande calde, scoprire caratteristici localini sotterranei, oppure recarsi alla Piazza del Mercato per un piacevole shopping tra le bancarelle che si susseguono nella lunga galleria dell’ edificio centrale e acquistare prodotti tipici, rappresenta un’ ottima occasione per interagire con la gente del posto. Il fascino di Cracovia sta nel mostrarsi in tutto e per tutto una città che ha saputo coniugare vecchio e nuovo, che ha saputo accettare un passato recente da cui si è saputa rialzare degnamente. Dignità. La parola che meglio riassume lo spirito dei suoi abitanti è dignità. Una dignità che si manifesta nel riscatto sociale, impressa nei volti della gente, nel modo di fare, nella compostezza, giudicata superficialmente”freddezza”, nell’ alto grado di civiltà che investe tutti, dal commerciante all’ artista di strada. Cracovia è una città che inevitabilmente affascina fin dal primo momento, tuttavia, ne percepisci l’ essenza vivendola quotidianamente. Accorgersi che non solo i maestosi edifici, ma ogni piccolo dettaglio rivela una bellezza propria; una vecchia bicicletta appoggiata a un albero, gli sguardi pacati degli anziani che incroci sui tram, nello spiraglio di luce che fa capolino da un antico palazzo e si irradia sulla vista, osservare la vita della gente al di là della vetrina di un caffè, cogliere in un vecchio edificio diroccato i tratti di un’ antico splendore. Di essa rimane la consapevolezza di come possa essere effimera. Pensi che sia quasi lì per svanire,allora cerchi di godere quella magnifica vista. L’aria sembra avvolta da un alone di delicata sospensione. Quando ad un certo punto,di sera, ti ritrovi nella piazza centrale illuminata, ogni volta, come se fosse la prima, sei colto dallo stesso stupore, dal senso di ineffabilità, e molto probabilmente avverti la sensazione che , per quanto tu possa spalancare gli occhi, non riuscirai a coglierne l’ intera bellezza.
LA DUREZZA DELLA REALTÀ STORICA Chi soggiorna in Polonia fa tutto meno che un viaggio nella terra dell’umiliazione ebrea come polacca, a dispetto di come le veritiere, ma sbiadite immagini dei documentari storici ce la facciano conoscere. Tutta la Polonia ma in particolare Cracovia sono tanto un trionfo del popolo polacco quanto,sorprendentemente, di quello di Israele, della sua adattabilità e del rispetto che ha sempre goduto. A Casimiro il grande, antichissimo,quasi leggendario re polacco, risale infatti il vasto e frequentato quartiere ebreo(quartiere sottolineiamo e non ghetto, termine in Italia usato in luogo del primo quando invece vuole significare propriamente luogo di reclusione cittadino) che la leggenda vuole fosse stato edificato in onore dell’amante ebrea del re. Oggi il quartiere conta ben 7 sinagoghe delle quali una in particolare, unico esempio in Europa, finanziata completamente dallo stato.
I campi di concentramento. Più si osserva e si sperimenta più diventa difficile credere che posti come Auschwitz, Birkenau o Monowitz siano sorti in luoghi cosi intrisi di orgoglio e storia Ebraica per la pura casualità delle necessità politiche che la storia fa emergere. Amarissimo e’ infatti il contrasto fra la munificenza, la dignità storica della nazione, l’orgoglio del polacco come dell’ebreo e lo squallore della tragedia che si e’ consumata in luoghi banali, Auschwitz, una vecchia caserma dell’ esercito o razionalissimi Birkenau, 40 ettari di terreno a metà tra la simmetria degli allevamenti di bestiame e l’angoscia di un immenso cimitero. Assurdo pensare che oltre quei famosi sei milioni di ebrei ve ne siano molti altri che la storia ha semplicemente dimenticato, molti altri ebrei, zingari e omosessuali. Assurdo pensare che prima degli ebrei vi sono stati altrettanti polacchi, prigionieri dello straniero nel proprio paese. L’assurdità che ti assale in questi posti non e’ quella che ti aspetteresti, l’anima non e’ oppressa e il dolore che pure dovresti, vorresti provare, non ti dilania. C’è qualcosa di più sottile. Un ansia febbrile che diventa stanchezza, come davanti a un problema irrisolvibile. L’assurdità si tramuta in incredulità, intolleranza e così fino quasi all’inintelligibile. E nella bufera di quel mantra che risuona “Io non posso capire” una coscienza folle si affaccia: in realtà non e’ complicato, non c’è nulla da capire quel male e’ semplice e’ banale, non e’ sconvolgente; forse e’ pure lecito. Ma nella storia momenti come l’olocausto e luoghi come quelli che la Polonia dolorosamente ci tramanda forniscono all’uomo che “verrà” una marcia in più, quella che fa dire “Io non devo capire”. Perché capire quell’orrore sarà sempre e solo un’impresa a metà come parziale e’ il tentativo di condividere la sofferenza di quei milioni di prigionieri. E se allora ogni tentativo di comprendere e’ incompleto e tentare di guardare ai fatti con oggettività li rende quasi accettabili due sono i doveri del giovane come di chiunque abbia ancora fiato per parlare e gambe per muoversi: rispettare gli uomini e testimoniare le bestialità.
DI FRANCESCO DI LUCREZIA
E DESIREE MARINO
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