Maria Claudia Gatto
Traccio il contorno della tua spina dorsale: forse è l’ultima volta.
Continuo
a far scivolare la mano dal basso verso l’alto; si poggia sul tuo
collo e fa per stringerlo, ma poi si apre in una carezza leggera,
impercettibile.
Sei qui
che dormi sereno, accanto a me. Le labbra si aprono in un lieve
sorriso ed i tuoi occhi scuri sono coperti dalle ciglia lunghe nere;
i capelli ricadono morbidi sulla fronte ed io ho quasi paura di
toccarti. Continuo a fissarti nel tuo sonno profondo e rimango
immobile come quando si è estasiati avanti un quadro di Caravaggio.
La parte
destra del letto ha preso la forma del tuo corpo e le lenzuola
bianche il tuo odore.
Ho quasi
voglia di fotografarti, di fotografare questo momento per rimanerci
intrappolata dentro e non uscirne più. Io e te: null’altro.
Mi
lascio cadere con delicatezza sul cuscino e guardo il soffitto
bianco: oggi mi sembra tutto così luminoso. E’ forse questa la
felicità di cui si parla tanto? Attimi, forse anche stupidi, ma che
ci fanno sentire così bene, perché sono unici e nostri.
Ti giri
verso di me e sono talmente persa nei miei pensieri che neanche me ne
accorgo:
” Buongiorno.”
“Hey”
ti rispondo a voce bassa e mi chino verso te e tu mi stringi forte,
come se fossi la cosa più preziosa del mondo: Forse anche tu sei
felice quanto me adesso.
Ti do un
bacio sulle labbra e tu, riaprendo gli occhi mi sposti un ciuffo
ribelle dietro all’orecchio e ti fermi a guardare gli orecchini che
mi hai regalato il giorno prima:
“Levarteli
per dormire no, eh?” Lo dici in modo dolce, quasi divertito.
Io rido
e prendendo un cuscino te lo tiro forte addosso: voglio rimanere qui.
“ah, è
la guerra che vuoi?!” Ormai siamo completamenti svegli e ridendo e
urlando come due bambini ci prendiamo a cuscinate tra le lenzuola che
portano il tuo odore e sanno di noi.
Mi
lascio rotolare sul letto e per poco non cado per terra, di nuovo:
l’equilibrio non è il mio forte: “Dove credi di andare
scimmietta?” “ da nessuna parte” vorrei urlarti forte, ma non
lo faccio e lascio che siano i miei occhi o il mio sorriso a parlare.
Tu mi
guardi come chi si aspetta qualcosa o forse niente. Mi tieni sospesa
su di te adesso e mi spingi verso l’alto con le braccia. I tuoi
occhi neri e profondi mi scrutano, ma questa volta non provo
imbarazzo o malinconia, riesco a sostenere il tuo sguardo.
Mi lasci
cadere pesantemente sul materasso malconcio; io gattono nella tua
direzione, cercando di apparire il meno goffa possibile mi butto su
di te producendo un gran tonfo. Tenendomi per il mento porti il mio
viso verso il tuo. Riesco a sentire il tuo respiro sulla mia pelle e
mi accorgo di avere i brividi. Ho quasi paura di rovinare tutto; mi
allontano, ma tu mi afferri il braccio :”resta.”
Alzo gli
occhi, profondamente impegnati a fissare il nulla e mi perdo nei
tuoi, di nuovo.
Forse
siamo ancora li, in quella camera, l’uno perso negli occhi
dell’altra, ognuno di noi perso in quel momento “perfetto”, in
quella felicità e nella paura di dirsi cosa si prova davvero.
Avrei
voluto dirti tante cose, o forse avrei dovuto farlo, ma non è stato
così. Sono rimasta li, felice e in silenzio: ti ho baciato e ho
continuato a stringerti come fossi la cosa più preziosa del mondo,
come per non farti fuggire via.
Mi sono
avvinghiata a quel momento con tutte le mie forze e l’ho tenuto
dentro me, come un segreto.
Ancora
oggi se mi chiedono cosa è la felicità io rispondo “una spina
dorsale o delle ciglia lunghe.”
La gente
mi guarda esterrefatta: Loro non sanno che la mia felicità porta il
tuo nome.
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