FLAVIA DE ANGELIS E ANNACHIARA GRIECO
Così
s’intitola il video postato su Youtube il 7 settembre 2012 da Amanda Todd, un’adolescente che ha dovuto
confrontarsi con quella forma di discriminazione e repressione morale tanto
nota quanto temuta dagli adolescenti, divenuti i maggiori protagonisti e
vittime dell’era dei Social Network. Il fenomeno di cui parliamo si è
sviluppato ed esteso grazie all'enorme richiesta di piattaforme sociali
che potessero permettere ai giovani internauti di allacciare rapporti, contatti
o più semplicemente facilitare la loro ascesa verso una maggiore visibilità fra
i propri coetanei. Il fenomeno in questione un nome lo possiede: cyberbullismo. Amanda non aveva marcati sulla pelle i
segni della prepotenza dei suoi carnefici ma solo la consapevolezza di non
potersi difendere contro una coalizione di bulli senza un volto. Nel video, le
cosiddette
flash-cards, ovvero i biglietti su cui viene solitamente riportato ciò che il protagonista del video vuole comunicare, si susseguivano nelle mani tremanti della ragazzina come se da un momento all'altro potessero prendere fuoco. Il volto era inespressivo o forse troppo stanco per poter reagire, ogni tanto un sorriso disilluso le marcava il viso come se fosse già a conoscenza di quello che le sarebbe accaduto, come in un triste racconto dal finale purtroppo prevedibile.
flash-cards, ovvero i biglietti su cui viene solitamente riportato ciò che il protagonista del video vuole comunicare, si susseguivano nelle mani tremanti della ragazzina come se da un momento all'altro potessero prendere fuoco. Il volto era inespressivo o forse troppo stanco per poter reagire, ogni tanto un sorriso disilluso le marcava il viso come se fosse già a conoscenza di quello che le sarebbe accaduto, come in un triste racconto dal finale purtroppo prevedibile.
Ciò
che è accaduto ad Amanda è uno dei fenomeni più frequenti tra gli adolescenti;
direttamente o indirettamente ne riusciamo ad essere colpevoli e/o vittime. I
tanti episodi dettati dagli anonimi indispettiti di Ask.fm, di Twitter e di
Facebook dettano la legge del più forte dietro al loro computer. Nella loro
camera i “finti forti” occupano il proprio tempo libero annientando ciò che di
più fragile c’è nel cuore degli adolescenti: l’autostima. Da anni siamo
spettatori silenziosi o disinteressati e veniamo a conoscenza di innumerevoli casi
in cui un ragazzo o una ragazza fa a pugni con il suo vivere. Sappiamo come si
sono evolute situazioni del genere ma non siamo mai abbastanza coscienti del
fatto che potremmo essere noi le prossime vittime. Ci nascondiamo dietro
tweets, post, reblog e domande anonime illudendoci di vivere in un mondo che
può essere alla nostra portata, in cui ognuno è consapevole delle proprie
azioni. Il mondo virtuale ci affascina, ci fa sognare, ci fa star bene; ma si
sa che abusando della finzione rischiamo di cadere in un vortice sempre più
violento di fraintendimenti ed illusioni.
Amanda
Todd, Hanna Smith, Rebecca Sedwick, Tyler Clementi, sono solo un’irrisoria
parte delle vittime di questa nuova forma di bullismo. Capita poi di scorgere
tra questi nomi anche adolescenti italiani le cui vicende sono tristemente note
poiché la maggior parte culminate nel suicidio.
Suicidio:
l’atto estremo con cui la maggioranza di questi ragazzi si sono dovuti
confrontare per porre fine al loro tormento. Un tormento causato da aggressioni
e scherno contro le loro imperfezioni, forse il loro orientamento sessuale o
semplicemente verso la loro sensibilità che li rende le vittime ideali.
Chi
va via lasciando un’ultima traccia di sé tramite bigliettini con frasi corte e fin
troppo significative e chi lo fa proprio nel luogo virtuale dove tutto è
cominciato: Internet. Video, messaggi, post su Facebook: tutti mezzi per poter
lanciare un ultimo grido di aiuto e sperare in qualcosa o qualcuno che possa
comprenderli, aiutarli; ma davvero nessuno può fare nulla per limitare un
fenomeno del genere? I membri delle vite di questi adolescenti si ritrovano il
più delle volte completamente all'oscuro di tutto o scelgono, qualche volta, di
cedere all'indifferenza per paura di essere coinvolti a loro volta. Accade
quindi che il contributo di genitori ed insegnanti (quando c’è) rappresenta solo
un blando rimedio per sanare o bloccare situazioni di questo genere.
Il
numero di associazioni e centri preposti per prevenire questo stillicidio
è aumentato esponenzialmente creando così una vera e propria rete di appoggi
indirizzata direttamente alle vittime del cyberbullismo. A tal proposito vale
la pena citare la campagna No Hate Speech Movement la
quale si oppone a
tutte le forme di odio e repressione online.
E noi cosa possiamo fare per
consapevolizzarci?
Nulla, se non renderci conto che Internet è un luogo aperto che non ci pone dei
limiti. Il nostro rifugio dalle oppressioni e dagli insulti ci sembra reale
nell'assoluta finzione. Solo quando ne siamo direttamente colpiti ce ne
rendiamo conto, ma chissà, potrebbe anche essere troppo tardi.
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