domenica 17 novembre 2013

My story: struggling, bullying and self-harm

                                                               FLAVIA DE ANGELIS E ANNACHIARA GRIECO



Così s’intitola il video postato su Youtube il 7 settembre 2012 da Amanda Todd, un’adolescente che ha dovuto confrontarsi con quella forma di discriminazione e repressione morale tanto nota quanto temuta dagli adolescenti, divenuti i maggiori protagonisti e vittime dell’era dei Social Network. Il fenomeno di cui parliamo si è sviluppato ed esteso grazie all'enorme  richiesta di piattaforme sociali che potessero permettere ai giovani internauti di allacciare rapporti, contatti o più semplicemente facilitare la loro ascesa verso una maggiore visibilità fra i propri coetanei. Il fenomeno in questione  un nome lo possiede: cyberbullismo. Amanda non aveva marcati sulla pelle i segni della prepotenza dei suoi carnefici ma solo la consapevolezza di non potersi difendere contro una coalizione di bulli senza un volto. Nel video, le cosiddette
flash-cards, ovvero i biglietti su cui viene solitamente riportato ciò che il protagonista del video vuole comunicare, si susseguivano nelle mani tremanti della ragazzina come se da un momento all'altro potessero prendere fuoco. Il volto era inespressivo o forse troppo stanco per poter reagire, ogni tanto un sorriso disilluso le marcava il viso come se fosse già a conoscenza di quello che le sarebbe accaduto, come in un triste racconto dal finale purtroppo prevedibile. 
Ciò che è accaduto ad Amanda è uno dei fenomeni più frequenti tra gli adolescenti; direttamente o indirettamente ne riusciamo ad essere colpevoli e/o vittime. I tanti episodi dettati dagli anonimi indispettiti di Ask.fm, di Twitter e di Facebook dettano la legge del più forte dietro al loro computer. Nella loro camera i “finti forti” occupano il proprio tempo libero annientando ciò che di più fragile c’è nel cuore degli adolescenti: l’autostima. Da anni siamo spettatori silenziosi o disinteressati e veniamo a conoscenza di innumerevoli casi in cui un ragazzo o una ragazza fa a pugni con il suo vivere. Sappiamo come si sono evolute situazioni del genere ma non siamo mai abbastanza coscienti del fatto che potremmo essere noi le prossime vittime. Ci nascondiamo dietro tweets, post, reblog e domande anonime illudendoci di vivere in un mondo che può essere alla nostra portata, in cui ognuno è consapevole delle proprie azioni. Il mondo virtuale ci affascina, ci fa sognare, ci fa star bene; ma si sa che abusando della finzione rischiamo di cadere in un vortice sempre più violento di fraintendimenti ed illusioni.
Amanda Todd, Hanna Smith, Rebecca Sedwick, Tyler Clementi, sono solo un’irrisoria parte delle vittime di questa nuova forma di bullismo. Capita poi di scorgere tra questi nomi anche adolescenti italiani le cui vicende sono tristemente note poiché la maggior parte culminate nel suicidio. 
Suicidio: l’atto estremo con cui la maggioranza di questi ragazzi si sono dovuti confrontare per porre fine al loro tormento. Un tormento causato da aggressioni e scherno contro le loro imperfezioni, forse il loro orientamento sessuale o semplicemente verso la loro sensibilità che li rende le vittime ideali.
 Chi va via lasciando un’ultima traccia di sé tramite bigliettini con frasi corte e fin troppo significative e chi lo fa proprio nel luogo virtuale dove tutto è cominciato: Internet. Video, messaggi, post su Facebook: tutti mezzi per poter lanciare un ultimo grido di aiuto e sperare in qualcosa o qualcuno che possa comprenderli, aiutarli; ma davvero nessuno può fare nulla per limitare un fenomeno del genere? I membri delle vite di questi adolescenti si ritrovano il più delle volte completamente all'oscuro di tutto o scelgono, qualche volta, di cedere all'indifferenza per paura di essere coinvolti a loro volta. Accade quindi che il contributo di genitori ed insegnanti (quando c’è) rappresenta solo un blando rimedio per sanare o bloccare situazioni di questo genere.
Il numero di associazioni e centri preposti per prevenire questo stillicidio è aumentato esponenzialmente creando così una vera e propria rete di appoggi indirizzata direttamente alle vittime del cyberbullismo. A tal proposito vale la pena citare la campagna No Hate Speech Movement la quale si oppone a tutte le forme di odio e repressione online.

E noi cosa possiamo fare per consapevolizzarci? Nulla, se non renderci conto che Internet è un luogo aperto che non ci pone dei limiti. Il nostro rifugio dalle oppressioni e dagli insulti ci sembra reale nell'assoluta finzione. Solo quando ne siamo direttamente colpiti ce ne rendiamo conto, ma chissà, potrebbe anche essere troppo tardi.

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